sabato 26 novembre 2011

La Verità sulle Tasse #3



Questo articolo, una risposta ad Alan Greenspan's call for a consumption tax, apparve originariamente in Review of Austrian Economics, 1994, Volume 7, No. 2, pp. 75–90, come The Consumption Tax: A Critique.


Terza ed Ultima Parte.


Qui la Prima Parte.
Qui la Seconda Parte.



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di Murray N. Rothbard



L'Impossibilità di Tassare Solo il Consumo

Dopo aver sfidato i meriti dello scopo di tassare solo i consumi ed aver sollevato i risparmi dalla tassazione, procediamo ora a negare la possibilità stessa di raggiungere tale obiettivo, vale a dire, riteniamo che una tassa sui consumi sfocerà, volenti o nolenti, in una tassa sul reddito e quindi anche sul risparmio. In poche parole, anche se, per amor di discussione, dovremmo decidere di tassare solo i consumi e non il reddito, non dovremmo essere in grado di farlo.

Prendiamo, in primo luogo, il piano di Fisher, che, apparentemente semplice, esonererebbe il risparmio e tasserebbe solo i consumi. Prendiamo il signor Jones, che guadagna un reddito annuo di $100,000. Le sue preferenze temporali lo portano a spendere il 90% del suo reddito in consumi ed a risparmiare e investire il restante 10%. Su questa ipotesi, spenderà $90,000 l'anno in consumi e risparmierà ed investirà gli altri $10,000. Supponiamo ora che il governo imponga una tassa del 20% sul reddito di Jones, e che la sua preferenza temporale rimanga la stessa. Il rapporto tra il suo consumo e risparmio sarà ancora 90:10, e così, al netto delle imposte sul reddito attualmente avrà $80,000, la sua spesa per i consumi sarà di $72,000 e il suo risparmio-investimento di $8,000 l'anno.[1]

Supponiamo ora che invece di una tassa sul reddito, il governo segua lo schema di Irving Fisher, ed imponga una tassa del 20% annuo sui consumi di Jones. Fisher sosteneva che una simile tassa sarebbe caduta solo sui consumi, e non sul risparmio di Jones. Ma questa affermazione è errata, poiché l'intero risparmio-investimento di Jones si basa unicamente sulla possibilità dei suoi consumi futuri, che saranno tassati allo stesso modo. Dal momento che il consumo futuro sarà tassato, si suppone, al tasso equivalente del consumo attuale, che non possiamo concludere che il risparmio nel lungo periodo riceva alcuna esenzione fiscale o incoraggiamento speciale. Non ci sarà quindi nessun cambiamento a favore del risparmio e degli investimenti di Jones a causa di una tassa sui consumi.[2] In sintesi, qualsiasi pagamento fiscale al governo, sia esso sul consumo o sul reddito, riduce necessariamente l'utile netto di Jones. Dal momento che la sua preferenza temporale rimane la stessa, Jones, pertanto, riduce il suo consumo e il suo risparmio in proporzione. Jones sposterà l'imposta sui consumi, fino a quando non diventerà equivalente ad un tasso più basso imponibile sul proprio reddito. Se Jones spende ancora il 90% del suo reddito netto in consumi, e il 10% per il risparmio-investimento, il suo reddito netto sarà ridotto di $15,000, invece che di $20,000, e il suo consumo sarà ora di $76,000, e il suo risparmio-investimento di $9,000. In altre parole, il 20% della tassa sui consumi di Jones sarà equivalente ad una tassa del 15% sul suo reddito, e lui organizzerà il suo consumo-risparmio di conseguenza.[3]

Abbiamo visto all'inizio di questo articolo che un'accisa che devia le risorse dai beni più desiderabili non significa necessariamente che possiamo consigliare un'alternativa, come ad esempio una tassa sul reddito. Ma che dire di una tassa generale sulle vendite, ipotizzando che possa essere riscossa politicamente senza eccezioni di beni o servizi? Una tale tassa non sarebbe un onere fiscale solo sul consumo e non sul reddito?

In primo luogo, una tassa sulle vendite sarebbe soggetta agli stessi problemi dell'imposta sui consumi di Fisher. Dal momento che il consumo futuro e quello presente sarebbero tassati allo stesso modo, ci sarebbe ancora una volta un cambiamento da parte di ogni individuo in modo che il consumo futuro così come quello presente verrebbe ridotto. Ma, inoltre, l'IVA è soggetta ad una complicazione in più: l'assunto generale che una tassa sulle vendite può essere facilmente spostata verso il consumatore è totalmente fallace. Infatti, l'imposta sulle vendite non può essere trasferita affatto!

Considerate: tutti i prezzi sono determinati dall'interazione dell'offerta, dallo stock di beni disponibili per la vendita, e dalla domanda di quel bene. Se il governo impone una tassa generale del 20% su tutte le vendite al dettaglio, è vero che ai rivenditori sarà ora richiesto un ulteriore costo del 20% su tutte le vendite. Ma come possono aumentare i prezzi per coprire questi costi? I prezzi, in ogni momento, tendono ad essere fissati al punto massimo delle entrate nette per ogni venditore. Se i venditori possono semplicemente passare l'aumento del 20% dei costi ai consumatori, perché avrebbero dovuto aspettare che fosse imposta una tassa sulle vendite per aumenteare i prezzi? I prezzi sono già ai massimi al netto delle entrate per ogni impresa. Qualsiasi aumento dei costi, quindi, dovrà essere assorbito dall'azienda; non può essere trasferito ai consumatori. In altre parole, l'imposizione di una tassa sulle vendite non ha cambiato lo stock già a disposizione del consumatore; tale stock è già stato prodotto. Le curve di domanda non sono cambiate, e non vi è alcun motivo affinché lo facciano. Dal momento che domanda ed offerta non sono cambiate, e neppure il prezzo. Oppure, guardando la situazione dal punto della domanda e dell'offerta di denaro, che aiuta a determinare i livelli generali dei prezzi, l'offerta di denaro è rimasta la stessa, e non c'è neanche motivo di supporre un cambiamento nella domanda dei saldi di bilancio. Quindi, i prezzi rimarranno gli stessi.

Si potrebbe obiettare che, anche se un aumento dei prezzi non può avvenire immediatamente, può farlo nel lungo periodo, quando i proprietari dei fattori e delle risorse avranno la possibilità di abbassare la loro offerta in un secondo momento. E' vero che un'accisa parziale può essere spostata in avanti in questo modo, nel lungo periodo, abbandonando le risorse, diciamo, dell'industria dei liquori e spostandosi in altri settori non tassati. Dopo un pò, poi, il prezzo del liquore può essere alzato da una tassa sui liquori, ma solo riducendo l'offerta futura, lo stock di liquore disponibile per la vendita in una data futura. Ma tale "spostamento" non è un passaggio indolore e rapido di un prezzo più alto per i consumatori; può essere realizzato solo in un periodo più lungo con una riduzione dell'offerta di un bene.

L'onere di una tassa sulle vendite non può essere spostato in avanti nello stesso modo. Poiché le risorse non possono sfuggire ad un'imposta sulle vendite come possono farlo per un'accisa — lasciando il settore liquori e trasferirendosi ad un altro. Stiamo assumendo che l'imposta sulle vendite è generale e uniforme; non può quindi essere sfuggita con le risorse se non rendendole inattive. Quindi, non possiamo sostenere che l'imposta sulle vendite sarà spostata in avanti nel lungo periodo per tutte le forniture di merci che rientrano in qualcosa come il 20% (a seconda dell'elasticità). Le forniture generali dei beni diminuiranno, e quindi i prezzi aumenteranno, solo nella misura relativamente modesta in cui la manodopera, osservando un aumento del costo di opportunità del tempo libero a causa di un calo dei redditi salariali, lascerà la forza lavoro e diventarà volontariamente inattiva (o più in generale si abbasserà il numero di ore lavorative).[4]

Nel lungo periodo, naturalmente, e questo periodo non è molto lungo, le imprese al dettaglio non saranno in grado di assorbire una tassa sulle vendite; non sono bacini illimitati di ricchezza pronti per essere confiscati. Mentre le aziende al dettaglio subiscono perdite, le loro curve di domanda per tutti i beni intermedi, e poi per tutti i fattori di produzione, si sposteranno nettamente verso il basso, e questi declini nella domanda saranno rapidamente trasmessi a tutti i fattori ultimi di produzione: manodopera, terra, ed interessi attivi. E poiché tutte le imprese tendono a guadagnare un ritorno d'interesse uniforme determinato dalla preferenza temporale sociale, l'incidenza della caduta nelle curve di domanda rimarrà assai rapidamente sui due ultimi fattori di produzione: terra e manodopera.

Di qui, la considerazione apparentemente di buon senso che una tassa sulle vendite al dettaglio potrà facilmente essere trasferita al consumatore è totalmente errata. Al contrario, l'impatto iniziale della tassa sarà sulle entrate nette delle imprese al dettaglio. Le loro gravi perdite porteranno ad un rapido spostamento verso il basso le curve di domanda, intaccando terra e manodopera, ovvero, saggi salariali e rendite fondiarie. Quindi, la tassa sulle vendite al dettaglio invece di essere spostata in avanti rapidamente e senza dolore, sarà, nel lungo periodo, dolorosamente spostata indietro verso i redditi della manodopera e dei proprietari terrieri. Ancora una volta, una presunta tassa sui consumi, è stata trasformata dai processi di mercato in una tassa sui redditi.

In economia lo stress in generale per lo spostamento in avanti, e l'incuria di uno spostamento indietro, è dovuto al disprezzo della teoria Austriaca del valore, ed il suo concetto che il prezzo di mercato è determinato solo dall'interazione di uno stock già prodotto, con l'utilità soggettiva e la domanda dei consumatori per tale stock. La curva di mercato dell'offerta, quindi, dovrebbe essere verticale nel classico diagramma della domanda-offerta. Lo standard Marshalliano della pendenza in avanti della curva dell'offerta incorpora illegittimamente una dimensione temporale all'interno di essa, e quindi non può interagire con un'istantanea, o un fermo immagine, della curva di mercato della domanda. La curva Marshalliana sostiene l'illusione che i costi maggiori possono aumentare direttamente i prezzi, e non solo indirettamente riducendo l'offerta. E mentre potremmo arrivare alla stessa conclusione dell'analisi Marshalliana della curva dell'offerta per una particolare accisa, dove può essere utilizzato un equilibrio parziale, questo metodo standard va in frantumi per le imposte generali sulle vendite.



Conclusione: L'Ammontare e la Forma di Tassazione

Concludiamo con l'osservazione che vi è stata fin troppa concentrazione sulla forma, sul tipo di tassazione, e non abbastanza sul suo totale. Il risultato è stato un armeggiare infinito con i tipi di imposte, insieme alla negligenza di una questione molto più critica: quanta parte del prodotto sociale dovrebbe essere dirottata lontano dai produttori? Oppure, quante entrate dovrebbero essere trattenute dai produttori e quante entrate e risorse dovrebbero essere coercitivamente dirottate a beneficio dei non produttori?

E' particolarmente strano che gli economisti che orgogliosamente si definiscono sostenitori del libero mercato negli ultimi anni abbiano imboccato questa strada sbagliata. Furono presumibilmente gli economisti di libero mercato, ad esempio, i pionieri ed i propagandatori del Tax Reform Act del 1986. Questo enorme cambiamento ci avrebbe dovuto portare una "semplificazione" sulle nostre imposte sul reddito. Il risultato, naturalmente, era così scontato che anche l'IRS, per non parlare della flotta di avvocati fiscalisti e commercialisti, ha avuto grandi difficoltà a comprendere la nuova dispensazione. Particolarmente, inoltre, in tutte le manovre che hanno portato al Tax Reform Act, lo standard sostenuto da questi economisti, uno standard in apparenza così evidente da non aver bisogno di giustificazioni, era la somma delle variazioni fiscali essendo il "gettito neutrale." Ma non ci hanno detto cosa c'è di così grande nella neutralità del gettito. E, naturalmente, con l'adesione a tali norme, la questione cruciale delle entrate totali fu deliberatamente esclusa dalla discussione.

Ancora più eclatante fu una dottrina precoce di un altro gruppo di presunti sostenitori del libero mercato, i supply-sider. Nella loro curva di Laffer originale, ora felicemente consegnata alla pattumiera della storia, i supply-sider sostenevano che l'aliquota fiscale che massimizza le entrate fiscali è il tasso "volontario", ed un tasso che dovrebbe essere diligentemente perseguito. Non fu mai stato sottolineato in che senso una tale aliquota fosse "volontaria", o che diavolo avesse a che fare il concetto di "volontarietà" con la fiscalità in primo luogo. I supply-sider fecero molto meno con la loro curva di Laffer per istruirci sul perché tutti noi avessimo dovuto sostenere la massimizzazione dei ricavi del governo come il nostro beau idéal. Sicuramente, per i fautori del libero mercato, ridurre al minimo la predazione del governo del prodotto privato sarebbe un pò più attraente.

E' con sollievo che ci si rivolge per un approccio realistico e di libero mercato vero e proprio a Jean-Baptiste Say, che contribuì considerevolmente più all'economia che alla legge di Say. Say non si faceva alcuna illusione che la tassazione fosse volontaria, né che la spesa pubblica contribuisse ai servizi produttivi dell'economia. Say evidenziò che, in materia fiscale:

Il governo esige da un contribuente il pagamento di una determinata tassa sottoforma di denaro. Per soddisfare questa richiesta, il contribuente scambia parte dei prodotti a sua disposizione per la moneta che paga agli esattori delle tasse.

Alla fine, il governo spende i soldi per le proprie esigenze, in modo che

alla fine [...] questo valore viene consumato; e poi la parte di ricchezza, che passa dalle mani del contribuente in quelle degli esattori, è distrutta ed annientata.

Si noti che, come nel caso del successivo Calhoun, Say vede che la tassazione crea due classi in conflitto, i contribuenti e gli esattori delle imposte. Se non fosse per le tasse, il contribuente avrebbe speso i suoi soldi per il proprio consumo. Così com'è: "Lo stato [...] gode della soddisfazione derivante da tale consumo."

Say procede a denunciare

l'idea prevalente, che i valori, pagati dalla comunità per il servizio pubblico, tornano di nuovo [...] che ciò che il governo ed i suoi agenti ricevono, viene rimborsato di nuovo con le loro spese.

Say commenta con rabbia che questo "errore grave [...] è stato generatore di malizia infinita, in quanto è stato il pretesto per una grande quantità di rifiuti senza vergogna e di degrado."

Al contrario, Say dichiara: "il valore pagato al governo da parte del contribuente è dato senza l'equivalente o il ritorno; è speso dal governo per l'acquisto di un servizio personalizzato, di oggetti di consumo".

Say continua a denunciare la "conclusione falsa e pericolosa" di scrittori economici secondo cui il consumo del governo aumenta la ricchezza. Say nota con amarezza che "se tali principi si trovassero solo nei libri, e non fossero mai messi in pratica si potrebbe patire senza cura o rimpianto il mucchio mostruoso di assurdità stampate".

Ma purtroppo, osservò, queste nozioni sono state messe in "pratica dagli agenti della pubblica autorità, che possono far valere errori e assurdità con una baionetta o la bocca del cannone."[5] Per Say la tassazione, quindi, è

il trasferimento di una parte dei prodotti nazionali dalle mani degli individui a quelle del governo, al fine di soddisfare i consumi della spesa pubblica. [...] E' praticamente un fardello imposto agli individui, singolarmente o in gruppo, dal potere dominante [...] visto che lo scopo è quello di fornire un consumo e potrebbe essere ritenuto appropriato che lo facessero a loro spese.[6]

Ma la tassazione, per Say, non è solo un gioco a somma zero. Imponendo un onere sui produttori, egli fa notare, le tasse, nel tempo, storpiano la produzione. Scrive Say:

La tassazione priva il produttore di un prodotto, dal quale altrimenti avrebbe la possibilità di derivare una gratificazione personale, se l'avesse consumato [...] o se l'avesse trasformato in profitto, dedicandolo ad un impiego utile. [...] [Pertanto], la sottrazione di un prodotto diminuisce necessariamente, anziché aumentare, la potenza produttiva.

La politica raccomandata da J.B. Say era cristallina e coerente con la sua analisi e quella del presente lavoro. "Il miglior piano per le finanze [pubbliche] è, spendere il meno possibile; e la tassa migliore è sempre quella più leggera".


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


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Note

[1] Abbiamo lasciato da parte il fatto che, ad una quantità di denaro minore, il tasso di preferenza temporale di Jones, dato il suo schema di preferenza temporale, sarà più alto, in modo che il suo consumo sarà più alto, ed il suo risparmio minore, rispetto a quanto abbiamo affermato.

[2] Infatti, nella nota 1 di sopra, ci sarà uno spostamento in favore del consumo perché una quantità ridotta di denaro sposterà il tasso di preferenza temporale del contribuente in direzione del consumo. Di conseguenza, paradossalmente, una pura tassa sui consumi aumenterà i risparmi fiscali più del consumo! Consultare Rothbard, Power and Market, pp. 108–11.

[3] Se le entrate nette vengono definite come le entrate lorde meno l'ammontare pagato in tasse, e per Jones, il consumo è rappresentato dal 90% del reddito netto, una tassa sui consumi al 20% su un reddito di $100,000 sarà equivalente ad una tassa del 15% su questo reddito. Rothbard, Power and Market, pp. 108–11. La formula base delel entrate nette è:

N = G / 1 + tc

dove
G=entrate lorde, t=l'aliquota fiscale sui consumi, e c, consumi come percentuale delle entrate nette, sono dati dal problema, e N = G – T per definizione, dove T è l'ammontare pagato per la tassa sui consumi.

[4] Rothbard, Power and Market, pp. 88-93. Consultare anche l'articolo degno di nota di Harry Gunnison Brown, "The Incidence of a General Sales Tax," in Readings in the Economics of Taxation, R. Musgrave and C. Shoup, eds. (Homewood, Ill: Irwin, 1959), pp. 330–39.

[5] Jean-Baptiste Say, A Treatise on Political Economy, 6th ed. (Philadelphia: Claxton, Remsen & Heffelfinger, 1880), pp. 412–15. Consultare anche Murray N. Rothbard, "The Myth of Neutral Taxation," Cato Journal 1 (Fall 1981): 551–54.

[6] Say, Treatise, p. 446.

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4 commenti:

  1. Sono in disaccordo su questo articolo in quanto la tassazione sui consumi è spiegata sotto un profilo sbagliato a mio avviso.
    Per prima cosa una tassa sui consumi non andrebbe fatta sulle vendita al dettaglio verrebbe fuori un puttanaio da paura, ma andrebbero poste delle accise alla fonte, in modo tale da non influire sui passaggi successivi, cosi da evitare un aumento piramidale della tassa che alla fine va a gravare solo sul consumatore finale mentre gli altri scaricano ed evadono.
    In secondo luogo le accise devono essere determinate e non proporzionali al costo del bene altrimenti si avrebbe un alterazione del prezzo proporzionale all'andamento di mercato del bene.
    In pratica a versare la tassa dovrebbero essere solo i produttori di materie prime alla fonte, inutile tassare ogni passaggio produttivo crea solo uno scarico sul consumatore finale delle maggiori tasse che deve pagare chi trasforma le materie prime in prodotti finiti anzi gia oggi funziona cosi infatti le grandi industrie e le banche ogni tassa in piu che dovrebbero pagare la ricaricano sui prezzi di vendita cosi che a pagare alla fine sono sempre i consumatori finali, cosa questa molto ingiusta specialmente per beni di prima necessità.

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  2. Leggo sempre da greader. Cambiato sfondo? Freedonia inizia ad alzare staccionate per difendersi dagli attacchi dei socialisti straccioni? :)
    Comunque bellissima traduzione, purtroppo, soprattutto in Italia, questo genere di testi sono merce rara (basta cercarli nelle librerie, impossibile trovare Rothbard, praticamente). Quindi tanto di cappello a chi si sobbarca l'onere della traduzione :)
    Un saluto.
    Nicolò

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  3. Questo articolo ovviamente non vuole mettere in luce quale sia la "forma migliore di tassazione", bensì come ogni forma di imposta erariale distorca potenzialmente i processi di mercato; i quali ne segnalano la pericolosità danneggiando pesantemente le componenti del mercato (redditi, lavoratori, rendite terriere, ecc.)

    L'unica tassa che si potrebbe sopportare sarebbe una tassa "alla pari", talmente bassa che anche il più povero possa permettersela. Ma viene da sé che l'ammontare sarebbe talmente basso che lo stato sarebbe messo all'angolo...

    E da qui si capisce com'è che bisogna metterlo nel culo al lavoratore, tassando il reddito, ed una seconda volta, tassando gli acquisti, ed una terza, con le accise, ed una quarta, con i contributi, ed una quinta, per costruire l'ennesimo fottuto campo nomadi e "liberare" l'ennesimo sporco lurido inutile angolo di mondo pieno di altrettanto inutile sabbia.

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  4. Ciao Nicolò.

    Ha indovinato, basta dare un colpo ben assestato sulla parte alta di una delle stecche per sfruttare l'effetto leva e colpire gli zebedei di qualche elargitore di "coesione sociale" di passaggio. :)

    Ti ringrazio per il sostegno, e dato che noto che sembri apprezzare particolarmente Rothbard ti posso anticipare che presto ne vedrai altre di traduzioni con la sua firma.

    Stay Tuned. ;)

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