martedì 28 giugno 2011

Sei Errori Fondamentali dell'Attuale Ortodossia #1

Data la fine prossima del QE2 e l'incalzante marea di articoli pro-spesa a deficit dalle colonne di un pò tutti i giornali, ritengo opportuno che venga letto questo articolo. Quella che sta scomparendo é l'illusione Keynesiana di una pianificazione centralizzata dell'economia; come direbbe Hayek riguardo questo modello: "That'a a Fatal Conceit!" Sissignore, che per ripianare ai casini di una spesa sconsiderata ed azzardi economici, sono stati dapprima salvati i gatti grassi col QE1 e poi i cocci delle passività accumulate dai vari programmi di welfare, col QE2. Salvataggi e costi senza fine. Per non parlare delle guerre: piena occupazione e niente da mangiare. La vera crescita richiede produzione di ciò che la gente desidera, non spendere a cazzo di cane. Sveglia! Il party é finito, la sbornia é passata; ora portate via le pale, il lungo termine é in vista. [Parte 1 di 2]
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di Robert Higgs


Mentre la recessione è peggiorata e la debacle finanziaria è passata da una fiammata ad un'altra durante l'ultimo anno e mezzo, sono aumentati tremendamente i commentatori sui problemi economici. I sapientoni hanno pontificato; i giornalisti e gli editori hanno riferito ed opinato; i programmi radiofonici hanno sbuffato ed ansimato; i funzionari pubblici hanno vomitato anche più linguaggio ambiguo del solito; i goffi esperti accademici, presi sotto l'occhio delle telecamere come un cervo accecato dalle luci, hanno ammiccato ed incespicato nel loro breve lasso di tempo come mezzobusti in TV. Siamo stati sommersi da un enorme emissione di diagnosi, prognosi e prescrizioni, almeno il 95% delle quali è stata spaventosamente sbagliata.

La maggior parte di esse sono risultate sbagliate per le stesse ragioni. La maggior parte delle persone che ha la pretesa di possedere la competenza sull'economia, si basa su una serie comune di pressupposti e modi di pensare. Chiamo questo guazzabuglio pseudo-intellettuale "volgare Keynesianismo". E' lo stesso sproloquio che è passato per saggezza economica in questo paese per più di 50 anni e sembra essersi originato nella prima edizione di Economics (1948) di Paul Samuelson, il libro d'economia più venduto di tutti i tempi e l'unico da cui diverse generazioni di studenti universitari hanno acquisito tutte le cose che sanno sull'analisi economica. Tempo fa questa visione si insediò nel discorso educativo, nei media e nella politica, e si stabilì come un'ortodossia.

Sfortunatamente questo modo di pensare dell'operazione economica — in particolare sulle sue fluttuazioni generali — è un tessuto di errori commessi e di cose omesse. Più sfortunate sono state le implicazioni politiche derivate da questo modo di pensare: tra tutte, la nozione che il governo può e dovrebbe usare politiche fiscali e monetarie per controllare la macroeconomia e stabilizzare le sue fluttuazioni. Nonostante si sia sviluppata più di mezzo secolo fa, questa visione sembra essere ancora vitale nel 2009 come lo era nel 1949.

Consideriamo brevemente i sei aspetti più evidenti di questo sfortunato approccio per capire ed affrontare l'economia dei boom e bust.



Aggregati

John Maynard Keynes persuase i suoi colleghi economisti (e loro persuasero la gente) che ha senso pensare all'economia come ad un pugno di aggregati: entrate totali o produzione, spesa totale al consumo, spesa totale d'investimento ed esportazioni totali nette. Se le persone ricordano qualcosa dal loro corso introduttivo d'economia, molto probabilmente ricorderanno l'equazione Y = C + I + G + (X - M).

A volte Q • P è messo sullo stesso piano delle variabili alla destra dell'equazione. Quindi l'idea è che l'offerta aggregata (produzione fisica moltiplicato il livello dei prezzi) è uguale alla domanda aggregata, che è uguale alla somma dei quattro tipi di spesa monetaria per beni e servizi finali prodotti da poco.

Questo modo di comprimere transazioni differenti in singole variabili ha l'effetto di sopprimere la comprensione delle connessioni e delle differenze dentro ognuno degli aggregati. Quindi, in questa struttura, aggiungere un milione di dollari d'investimento per scorte di teddy-bear avrebbe lo stesso effetto se un milione di dollari d'investimento fosse direzionato nello scavare una nuova miniera di rame. Allo stesso modo, aggiungere un milione di dollari per comprare biglietti del cinema avrebbe lo stesso effetto se un milione di dollari fosse speso per la benzina. Allo stesso modo, aggiungere un milione di dollari alla spesa del governo per vaccini infantili contro la polio avrebbe lo stesso effetto se un milione di dollari in spesa del governo fosse direzionato in munizioni da 7,62 millimetri. Non ci vuole molto ad immaginare i modi in cui la soppressione delle differenze dentro ognuno degli aggregati potrebbe distorcere seriamente il nostro modo di pensare nei confronti dell'economia.

Infatti "l'economia" non produce una massa indifferenziata che chiamiamo "produzione". Al contrario, i milioni di produttori che danno vita "all'offerta aggregata" forniscono una varietà quasi infinita di beni e servizi specifici che si diversificano in modi innumerevoli. Per di più, un'ampia parte di quello che succede in un'economia moderna orientata verso il mercato consiste in affari tra i produttori che non forniscono alcun bene o servizio "finale", bensì forniscono materiali grezzi, componenti, prodotti intermedi e servizi reciproci. Visto che questi produttori sono connessi da un intricato schema di relazioni, che deve sostenere certe proporzioni se si uvole che l'intera organizzazione funzioni efficiacemente, le conseguenze critiche sottolineano cosa in particolare viene prodotto, quando, dove e come.

Queste microconnessioni straordinariamente complesse sono quelle a cui ci stiamo realmente riferendo quando parliamo di "economia". Sicuramente non è un processo singolo e semplice che produce un blocco uniforme di aggregati. Per di più, quando si parla di "azione economica", ci si riferisce alle scelte che compiono milioni di partecipanti differenti che selezionano un corso d'azione e che mettono in conto una possibile alternativa. Senza scelta, limitati dalla scarsità, nessuna vera scelta economica può aver luogo. Così, il volgare Keynesianismo, che pretende di essere un modello economico o per lo meno una struttura coerente di analisi economica, esclude praticamente la possibilità di una pura scelta economica, sostituendola con un concetto scarno e meccanico — l'equivalente intellettuale di un pupazzo.



Prezzi Relativi

Il volgare Keynesianismo non tiene conto dei prezzi relativi o dei cambiamenti in tali prezzi. In questa struttura c'è solo un prezzo, che è chiamato "livello dei prezzi" e rappresenta una media ponderata di tutti i prezzi del denaro a cui gli innumerevoli beni e servizi dell'economia sono venduti (c'è anche il tasso d'interesse, che è trattato come un prezzo in un modo limitato e fuorviante, e di cui ne parlerò in seguito). Se i prezzi relativi cambiano — cosa che ovviamente accade sempre in una certa intensità, anche nei periodi più stabili — questi cambiamenti "fanno media" ed influenzano il calcolo del cambiamento, se ce n'è qualcuno, solo in un modo analiticamente irrilevante a livello dell'aggregato dei prezzi.

Così se l'economia si espande su certe linee, ma non su altre, e la configurazione dei prezzi relativi è cambiata, i volgari Keynesiani sanno che la "domanda aggregata" e "l'offerta aggregata" sono cresciute, ma non hanno alcuna idea del perchè o in che modo sono cresciute. Nemmeno se ne preoccupano. Secondo il loro punto di vista la produzione aggregata dell'economia — la sola produzione che trattano come degna di nota — è guidata dalla domanda aggregata, alla quale l'offerta aggregata risponde più o meno automaticamente; e non importa se è aumentata solo la domanda per i cetrioli oppure, per citare un esempio che lo stesso Keynes usò, è aumentata solo la domanda per le piramidi. La domanda aggregata è la domanda aggregata è la domanda aggregata.[1]

Visto che il volgare Keynesiano non ha idea della struttura della produzione nell'economia, non può comprendere come un'espansione della domanda su certe linee, ma non su altre, potrebbe essere problematica. Secondo il suo punto di vista non si potrbbero mai avere, diciamo, troppe case ed appartamenti. Aumentare la spesa per case ed appartamenti è, secondo lui, sempre buono qualora l'economia ha risorse disoccupate, nonostante la quantità di case ed appartamenti che ora sono vacanti e nonostante quali tipi specifici di risorse siano disoccupate e dove siano localizzate in questa vasta terra. Malgrado i lavoratori disoccupati possano essere degli abili minatori d'argento in Idaho, si suppone che sia cosa buona se in qualche modo venga aumentata la domanda per i condomini a Palm Beach, visto che per il volgare Keynesiano non ci sono classi individuali di lavoratori oppure mercati del lavoro separati: il lavoro è il lavoro è il lavoro. Se qualcuno — qualunque siano le sue capacità, preferenze o posto in cui abita — è disoccupato, allora in questa struttura di pensiero potremmo aspettarci di rimetterlo a lavoro aumentando sufficientemente la domanda aggregata, senza badare a dove vengano spesi i soldi, in cosmetica o in informatica.

Questa tetra semplicità esiste perchè la produzione aggregata è una semplice funzione crescente del lavoro aggregato: Q = f(L), dove dQ/dL > 0.

Da notare che questa "funzione della produzione aggregata" ha un solo fattore produttivo, il lavoro aggregato. I lavoratori producono apparentemente senza l'aiuto del capitale! Se pressato, il volgare Keynesiano ammetterà che i lavoratori usano il capitale, ma insisterà che la riserva di capitale potrebbe essere considerata come "data" e fissata nel breve termine. E — un punto molto importante — il suo intero apparato di pensiero è inteso esclusivamente ad aiutarlo a comprendere questo breve termine. Nel lungo termine, potrebbe insistere, saremo "tutti morti", come disse Keynes[2], oppure potrebbe semplicemente negare che il lungo termine è quello che otteniamo quando si piazzano una serie di brevi termini uno dietro l'altro. Il volgare Keynesiano in effetti vive al momento e solo in questo, come se fosse una grande virtù. In ogni dato istante di tempo, si potrebbe lasciare senza problemi che il futuro si prenda cura di se stesso.



Il Tasso d'Interesse

Il volgare Keynesiano potrebbe preoccuparsi del tasso d'interesse, ma solo in senso ristretto. Per lui il tasso d'interesse è il "prezzo del denaro" — cioè, il tasso d'affitto pagato sul denaro preso in prestito. Tale prestito è sempre buono e se in maggiori quantità anche meglio, perchè gli individui usano denaro preso in prestito per acquistare beni di consumo, in tal modo "creando lavori", ed un lavoro è la cosa migliore nell'universo conosciuto. Di conseguenza più è basso il tasso d'interesse, più le persone prenderanno in prestito e spenderanno, e meglio funzionerà l'economia, a patto che esista disoccupazione in qualsiasi luogo del paese.

Visto che un pò di disoccupazione esiste sempre, il volgare Keynesiano vuole sempre che il tasso d'interesse sia più basso di quello che in realtà è. Se può essere abbassato artificialmente dall'azione della banca centrale, favorisce poderosamente tale azione. La Federal Reserve ha di recente spinto il suo obiettivo per il tasso d'interesse sui "fondi federali" — bilanci overnight da cui le banche prendono in prestito l'una dall'altra — quasi a zero e stimati economisti hanno giocato sulla bislacca nozione di raggiungere un tasso d'interesse negativo (si veda, per esempio, Mankiw 2009). (Dove devo firmare per un prestito?)

Il volgare Keynesiano non comprende cosa sia in realtà il tasso d'interesse. Fallisce nel comprendere che è un fondamentale prezzo realtivo — ovvero, il prezzo di beni disponibili ora in relazione a beni disponibili nel futuro. Ricordate, egli non pensa affatto in termini di prezzi relativi, quindi è del tutto naturale che fallisca nel comprendere come il tasso d'interesse influenzi la scelta tra l'attuale consumo e risparmio — cioè, agendo in questo modo si rende possibile una maggiore consumazione futura, non consumando l'attuale reddito. In un libero mercato una riduzione del tasso d'interesse riflette un desiderio di consumare di più nel futuro piuttosto che ora.

Un libero mercato includerebbe fornitori e richiedenti prestiti, ed il tasso d'interesse in vigore sarebbe quello a cui l'ammontare di coloro che richiedono un prestito è uguale a quello di coloro che sono disponibili a prestare denaro. Entrambi creditori e debitori, tuttavia, stanno facendo le loro scelte alla luce della propria "preferenza temporale", che è il tasso a cui sono disposti a commerciare i beni presenti per i beni futuri. Le persone con "un alto tasso nella preferenza temporale" sono desiderose di consumare ora piuttosto che in seguito, e per indurli a desistere sulla consumazione odierna coloro che prendono in prestito devono compensarli pagando un alto tasso d'interesse per l'uso dei loro fondi.

Sebbene i volgari Keynesiani riconoscono che un basso tasso d'interesse stimolerà le imprese a prendere in prestito più denaro e ad investirlo, immaginano che i piani d'investimento siano volatili per natura ed essenzialmente irrazionali — guidati, come disse Keynes, dagli "spiriti animali" degli imprenditori (1936, 161-62). Perciò, il livello a cui l'investimento risponde per un cambiamento nel tasso d'interesse è piccolo e potrebbe essere grossomodo ignorato.

Per i volgari Keynesiani l'importanza del tasso d'interesse è data dal fatto che regola l'ammontare di individui che stipuleranno prestiti per finanziare i loro acquisti di beni di consumo. Questi acquisti, nella loro logica, sono l'elemento essenziale nella determinazione di quante imprese vogliono produrre e quanto vogliono investire nell'espansione della loro capacità di produrre. Tuttavia, in questa struttura, non conta che tipo di investimento viene intrapreso: investimento è investimento è investimento.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


(I). Link alla Seconda Parte


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Note

[1] Nella General Theory, Keynes scrisse: "Piramidi, terremoti, perfino le guerre possono servire ad incrementare la ricchezza" (1936, 129). Provocato dai riferimenti Keynesiani alle piramidi, Paul Cantor fa questa battuta: "Se a Keynes piacevano le piramidi, ci doveva essere qualcosa di sbagliato in queste e difatti pare esserci una connessione tra l'amore per le piramidi e l'amore per il Big Government" (2002).

[2] La frase spesso citata di Keynes praticamente non è tanto ridicola quanto di solito pare essere. La sua frase nel contesto, in Tract on Monetary Reform del 1923, è: "Il lungo termine è una guida fuorviante per gli affari attuali. Nel lungo termine saremo tutti morti. Gli economisti si prefiggono il compito troppo semplice e troppo inutile di poter dire, in stagioni tempestose, se l'oceano diverrà piatto di nuovo quando la tempesta è passata". La citazione è disponibile su Wikiquote.

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